L’azienda che sta dietro al browser incentrato sulla privacy Brave ha appena presentato la sua nuova piattaforma di videoconferenza chiamata Brave Talk. Essa è uscita dalla fase beta durata più di un anno ed è costruita sulla piattaforma di videoconferenza open source Jitsi.
Come i suoi altri prodotti Brave Search e News, è pensato per essere il più privato possibile e può essere utilizzato solo tramite Brave Browser (mobile o desktop). Con Talk, gli utenti di Brave possono avviare chiamate tramite la pagina “Nuova scheda” nel browser utilizzando una nuova icona della fotocamera o visitando talk.brave.com. Sebbene le chiamate debbano essere avviate tramite il browser Brave, gli invitati possono utilizzare qualsiasi browser moderno a cui desiderano partecipare.
A differenza di Zoom, Google Meet e di altri provider che Brave accusa di monitorare chiamate, metadati e immagini condivise nelle chiamate, Talk consentirà agli utenti di abilitare “più livelli di crittografia”, garantendo che le chiamate non vengano intercettate da nessuno. I suoi server inoltre non salvano i metadati, lasciando dietro di sé poche o nessuna traccia delle chiamate.
Come molti altri servizi di videochiamata, Brave Talk non richiede l’installazione di estensioni o app aggiuntive ma funziona con la tecnologia WebRTC open source fornita da Jitsi.
Mentre le chiamate uno a uno sono gratuite, l’hosting di chiamate per tre o più persone richiederà la versione premium. Costerà 7 euro al mese e consentirà funzionalità avanzate come la registrazione delle chiamate, strumenti di hosting come disattivazione dell’audio dei partecipanti e richiesta passcode di ingresso e altro ancora per “chiamate con centinaia di persone”.
Con la formazione di Brave ora composta da un motore di ricerca, un aggregatore di notizie e una piattaforma di videoconferenza, è chiaro che l’azienda ha l’ambizione di diventare un concorrente completo e incentrato sulla privacy di Google, Microsoft e altre grandi aziende.
Ma con incidenti passati come Brave che è stato sorpreso a iniettare codici referral potenzialmente identificativi dell’utente in alcuni siti di trading di criptovalute, solo il tempo dirà come l’azienda se la caverà con questo approccio incentrato sulla privacy.