Le difficoltà che Huawei ha affrontato negli ultimi 12 mesi per quanto riguarda lo sviluppo di nuovi smartphone l’hanno costretta a rivedere i piani futuri. Non potendo accedere alle tecnologie USA per via del ban imposto dall’amministrazione Trump, gli smartphone Huawei (e di conseguenza anche quelli Honor) hanno perso dapprima l’accesso ai Google Play Services e poi l’accesso alle fonderie di Samsung e TSMC che, pur non essendo americane, usano tecnologia “made in USA”.
Al fine di non “portare tutti a fondo” e salvare il salvabile, Huawei ha deciso di vendere il brand Honor (brand che era affetto allo stesso modo dalle restrizioni), nel quale non ha più alcuna influenza. E sebbene le restrizioni sembrino allentarsi, è chiaro che gli USA vogliono mantenere la compagnia cinese fuori dai giochi. Ad esempio, sebbene a Qualcomm sia stato concesso il permesso di condurre affari con Huawei, la licenza copre solo i SoC con modem 4G.
Huawei afferma di aver deciso di lasciare andare Honor per garantirne la sopravvivenza. Sebbene la società venga venduta a una nuova entità sostenuta dal governo cinese, probabilmente non dovrà affrontare le stesse restrizioni di Huawei.
Alcuni analisti ritengono che Huawei abbia venduto la filiale per raccogliere fondi da investire nella sua tecnologia di produzione di chip, cosa che in futuro la renderebbe meno dipendente dalla tecnologia statunitense.
Secondo alcuni analisti e persone vicine all’azienda, l’accordo di vendita per Honor potrebbe portare nelle casse 100 miliardi di yuan ($ 15,2 miliardi). Huawei non avrà alcuna partecipazione in Honor una volta finalizzato l’accordo ed è per questo che il rapporto tra le due società probabilmente non sarà così cordiale come quello tra Xiaomi e il suo sub-brand Redmi, o come quello di OPPO e il sub-brand Realme.
Insomma, la vendita potrebbe essere stata una boccata d’aria per le finanze di Huawei nel breve periodo ma, a lungo andare, è chiaro che l’azienda si è messa contro un’altra concorrente. Che il tutto sia stato un autogol?