Il governo Meloni, con la Legge di Bilancio 2025, ha introdotto una modifica sostanziale alla Digital Service Tax (DST), comunemente nota come Web Tax. Questa riforma espande l’ambito di applicazione della tassa, coinvolgendo un numero sempre maggiore di imprese, incluse startup e piccole e medie imprese (PMI). Tale cambiamento potrebbe avere conseguenze significative sul settore digitale italiano, incidendo su investimenti, occupazione e competitività.
La Web Tax era inizialmente destinata a colpire i grandi colossi del web, ovvero quelle piattaforme digitali con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro e ricavi derivanti da servizi digitali in Italia superiori ai 5,5 milioni di euro. Si trattava di una tassa del 3% sui ricavi generati da attività come la pubblicità online e la trasmissione di dati degli utenti. Tuttavia, l’imposta escludeva settori come l’e-commerce e le interfacce digitali per la gestione dei sistemi di regolamenti interbancari.
A partire dal 2026, la nuova legge estenderà la Web Tax a tutte le imprese che offrono servizi digitali in Italia, senza limiti di fatturato. Ciò significa che anche le PMI e le startup saranno soggette alla tassa, non più solo le grandi aziende. Questa mossa potrebbe rivelarsi problematica, considerando che molte aziende di piccole dimensioni potrebbero trovarsi a fronteggiare obblighi fiscali gravosi, indipendentemente dalla loro redditività o dai profitti realizzati.
Le Conseguenze per le PMI
Negli ultimi anni, la tassazione sui servizi digitali è stata adottata come misura temporanea, con l’intento di raggiungere un accordo internazionale sulla riforma della tassazione delle multinazionali. Tuttavia, mancando un accordo globale, l’Italia ha deciso di procedere autonomamente. Questo porta a una situazione in cui le PMI, che sono la spina dorsale dell’economia italiana, potrebbero subire effetti negativi dovuti a questa nuova imposta.
In particolare, la tassa del 3%, calcolata sul fatturato e non sugli utili, rappresenta una criticità per molte PMI. Queste aziende, pur generando ricavi, potrebbero non avere utili sufficienti per far fronte a una tassa del genere. Questo è particolarmente vero per le startup e le aziende in fase di crescita, che potrebbero subire un colpo potenzialmente devastante proprio nei loro momenti di investimento e sviluppo.
Secondo stime del Ministero del Tesoro, il gettito previsto dalla Web Tax era di circa 700 milioni di euro all’anno. Tuttavia, nel 2023, le entrate si sono fermate a 390 milioni di euro, ben al di sotto delle aspettative. L’ampliamento della tassa a un numero maggiore di aziende mira a colmare questo gap, ma a rischio di compromettere la competitività delle aziende italiane, soprattutto quelle di dimensioni minori.
Le Reazioni delle Associazioni di Settore
Una delle reazioni più critiche è stata quella di Netcomm, il Consorzio del Commercio Digitale in Italia. Il presidente Roberto Liscia ha avvertito che l’estensione della Web Tax potrebbe rallentare lo sviluppo del settore digitale, penalizzando le PMI. Secondo Liscia, “tassare in modo aggressivo il settore digitale non favorirà la crescita economica del Paese”. C’è il timore che molte aziende possano decidere di trasferire le loro operazioni all’estero, riducendo ulteriormente gli investimenti in innovazione.
Netcomm propone un’alternativa, suggerendo una tassazione basata sugli utili piuttosto che sui ricavi. Questo approccio sarebbe più equo e rispettoso della capacità economica delle imprese, evitando di penalizzare quelle in difficoltà o in fase di crescita. Inoltre, è stata proposta una fiscalità “channel neutral”, per garantire un sistema fiscale equo tra vendite fisiche e digitali.
Dubbi e Preoccupazioni su Base Costituzionale
Anche Fedoweb, la federazione degli operatori web, ha espresso preoccupazioni riguardo le modifiche alla Web Tax. Il presidente Giancarlo Vergori ha sottolineato che sebbene il tentativo di garantire una tassazione equa per le grandi piattaforme digitali sia comprensibile, l’eliminazione delle soglie potrebbe portare a conseguenze indesiderate. Fedoweb ha particolarmente sollevato dubbi sull’adeguatezza di questa misura rispetto all’articolo 53 della Costituzione Italiana, che stabilisce il principio di capacità contributiva.
È fondamentale valutare attentamente l’estensione della Web Tax alle PMI, che include operatori con profili molto diversi e potrebbe risultare iniqua per le aziende di dimensioni più ridotte. La paura principale è che questa riforma possa danneggiare ulteriormente il già fragile ecosistema delle PMI italiane.
Impatto sulle Criptovalute
Il governo intende anche intervenire sulle criptovalute, aumentando significativamente la tassazione delle plusvalenze derivanti da bitcoin e altre valute digitali, passando dal 26% al 42%. Questo cambiamento avrà ripercussioni su circa 3,6 milioni di cittadini italiani che possiedono criptovalute, secondo l’Osservatorio Blockchain & Web 3 del Politecnico di Milano.
Giacomo Vella, direttore dell’osservatorio, avverte che l’Italia potrebbe diventare uno dei paesi con la tassazione più elevata sulle criptovalute, paragonabile alla Danmark e all’Islanda. Questa situazione potrebbe spingere molte aziende italiane e straniere a trasferire i propri capitali in giurisdizioni con regimi fiscali più favorevoli, danneggiando ulteriormente lo sviluppo del settore in Italia.
In conclusione, la Legge di Bilancio 2025 e l’introduzione della nuova Web Tax pongono sfide significative per le PMI italiane e per il settore digitale nel suo complesso. Con un aumento dei costi fiscali e un ambiente normativo in evoluzione, è fondamentale che le piccole e medie imprese siano supportate in un contesto così complesso e in continua trasformazione.