Quando il primo Alone in the Dark uscì nel 1992 io non ero ancora nato e la mia prima esperienza col franchise è arrivata solo nel 2001 con Alone in the Dark 4: The New Nightmare, giocato sulla mia PS1 (il mattone). Dal momento che ero un bambino e che non l’ho mai più rivisitato, ho un ricordo un po’ vago dell’atmosfera cupa e tetra a cui il nome è tanto legato. Ora che il team di THQ Nordic ha ripreso lo sviluppo del franchise con un Alone in the Dark moderno e “più Hollywoodiano”, mi sono tornati in mente dei flash di cosa ho provato 23 anni fa nel giocare al quarto capitolo della saga.
Il nuovo gioco di Alone in the Dark potrebbe essere inquadrato come un remake del capitolo del 1992, dal momento che l’ambientazione e la trama ricalcano da vicino quelle originali. Tuttavia, gli sviluppatori hanno voluto espandere sia la trama che il gameplay andando oltre la visione originale.
Il nuovo Alone in the Dark è disponibile in maniera multi piattaforma su PS5, Xbox Series X/S e su PC. Questa recensione si basa interamente sulla mia esperienza della versione PC (giocata tra l’altro su un mini PC senza grosse rinunce sul fronte della grafica e sella performance).
Pro
Contro
La trama
Senza spoilerare nulla, la trama di Alone in the Dark segue Emily Hartwood (Jodie Comer) e l’investigatore privato Edward Carnby (David Harbour) mentre si recano a Derceto Manor, una casa per persone mentalmente affaticate, per indagare sulla scomparsa di Jeremy Hartwood, lo zio di Emily.
Gli altri personaggi del gioco reagiscono in modo diverso a seconda del protagonista con cui interpreti e vedrai diversi elementi in base alla scelta del personaggio di Emily o Edward.
Risolvere enigmi occulti nella villa ti consente di utilizzare un talismano, precedentemente acquistato da Jeremy, per viaggiare in mondi da sogno diversi con una sola cosa in comune: i mostri nell’ombra.
Per quanto riguarda i puzzle da risolvere, a seconda di quanto ti senti un detective, puoi scegliere quanto vuoi che il gioco ti aiuti a trovare indizi e dove andare dopo. È presente infatti una modalità che elimina qualsiasi indizio grafico nell’HUD e lascia a te il compito di venire a capo di tutto.
Gameplay
Dopo la prima cutsene e di fronte all’ingresso di Derceto Mansion, viene chiesto al giocatore di scegliere quale personaggio utilizzare: Edward Carnby o Emily Hartwood.
Seppur la prima parte del gioco è identica indipendentemente dalla scelta, passato un certo punto le due trame andranno separandosi e affrontando il mistero da due punti di vista diversi. Questo è stato fatto per rendere Alone in the Dark altamente rigiocabile, con la seconda e la terza campagna che metterà di fronte al giocatore nuove scene.
Seguendo le orme intraprese dai moderni capitoli di Resident Evil, il nuovo Alone in the Dark presenta una prospettiva in terza persona “sopra le spalle”, eliminando gli angoli di ripresa fissi dell’originale. Questo è solo uno dei punti di rottura con l’originale reso necessario per modernizzarlo e renderlo attuale.
A differenza degli open world (o anche dei semi open world), non è possibile interagire con la maggior parte degli asset grafici presentati: che si tratti di ostacoli, muretti, piante o scale, non è possibile interagirvi ma solo “seguire il giusto percorso“.
Il gameplay si divide in circa il 70℅ all’interno della villa a risolvere puzzle e misteri nel mondo reale e il 30℅ viaggiando nei mondi dell’ombra.
Ma sono questi mondi dov’è tutta l’azione e dopo aver completato il gioco mi sono accorto di come i combattimenti, seppur belli ed entusiasmanti, non sono il perché Alone in the Dark è survival horror. L’essere un survival horror viene dal modo in cui le storie con i mostri e l’ambientazione vengono raccontati, non dal combatterli fisicamente. Quindi sono stato felice di vedere l’opzione furtiva presentata più volte come scelta principale.
A questo proposito, mi sembra interessante quello che hanno detto gli sviluppatori: “La nostra visione del gioco era quella di offrire un’esperienza horror classica, caratterizzata da combattimenti, enigmi, esplorazione e una storia avvincente raccontata da due diverse prospettive“.
Purtroppo la non localizzazione in italiano per quanto riguarda il doppiaggio fa perdere molto dell’immersione, soprattutto per chi non conosce l’inglese e deve leggere costantemente i dialoghi.
Derceto Mansion rende Alone in the Dark un Metroidvania moderno in 3D
Seppur i veri protagonisti del gioco siano l’investigatore privato Edward Carnby ed Emily Hartwood (la nipote di Jeremy Hartwood), a mio avviso il ruolo di protagonista va dato anche all’ambientazione di Derceto Mansion, la villa in cui si svolge la maggior parte del gioco.
La mia prima impressione dopo neanche 10 minuti di gameplay e dopo aver trovato la mappa è stata quella di trovarmi di fronte a un vero e proprio Metroidvania in salsa 3D: fra porte chiuse a chiave, porte sbarrate e puzzle da completare e decifrare, molto del gameplay del “mondo reale” è un andirivieni per cercare chiavi ed indizi e utilizzarli per sbloccare l’accesso a nuove aree della casa.
Lo sfondo del trattamento della salute mentale è ovviamente una miniera d’oro per l’atmosfera semplice e le ambientazioni inquietanti, ma la villa in sé è piuttosto piacevole da attraversare. L’orrore cosmico di Alone in the Dark deriva in parte dal viaggio verso e attraverso paesaggi onirici evocati dai ricordi di Jeremy.
La villa stessa sembra avere una sorta di ricordi, poiché in qualsiasi momento l’azione più sottile da parte tua può farti precipitare in una versione da incubo del passato di Derceto. Lo stile architettonico della villa si ispira alla tradizione del gotico meridionale, perché questo luogo ha una storia inquietante quanto i suoi eventi attuali. Gli appunti e i ninnoli che trovi nelle varie stanze ti informano di quella storia, aiutandoti a indovinare cosa è successo prima.
Conclusioni
Durante la mia immersione in Alone in the Dark durata 8 ore (secondo gli sviluppatori occorrono tra le 6 e le 10 ore per finire una campagna ma ne occorrerebbero il doppio per vedere tutto ciò che il gioco ha da offrire), il mix fra ambientazione gotica della villa, scricchiolii continui del pavimento in legno e apparizioni momentanee “dell’altro mondo” mi ha fatto provare angoscia, paura e insonnia. Non vi nascondo che Derceto Mansion me la sono sognata anche di notte, il che è un complimento non da poco per il gioco.
Ed è questo che più di ogni altra cosa mi è piaciuta di Alone in the Dark: l’horror dato da situazioni inquietanti e non solo da mostri spaventosi da combattere.
Potrebbe essere superfluo dirlo ma Alone in the Dark non contiene microtransazioni o qualsiasi altro tipo di monetizzazione e può essere giocato interamente offline.
Non c’è dubbio che si tratta di uno dei più bei giochi single player (e story driven, tanto per restare all’inglese) degli ultimi anni.