Negli scorsi anni i vinili hanno conosciuto un vero e proprio boom di vendite. Il supporto più antico e allo stesso tempo più iconico per l’ascolto di musica è anche quello che assicura la massima qualità di riproduzione: lo sanno benissimo gli audiofili, ovvero coloro che passano la vita a cercare la miglior combinazione di materiali, dispositivi, innovazione e tradizione tecnica per ascoltare la musica al suo massimo potenziale.
Proprio gli audiofili però avranno sentito accapponarsi la pelle nel momento in cui si è diffusa la notizia che, in varie parti del mondo, si stava lavorando su applicazioni in grado di “leggere” attraverso lo smartphone la musica incisa sul disco di vinile.
Non si tratta di una notizia nuova: la prima applicazione con questo scopo fu sviluppata nel 2013 e proposta a una serie di agenzie pubblicitarie, che l’accolsero con entusiasmo.
Cavalcando l’onda della nostalgia del periodo, l’applicazione fu battezzata Back To Vinyl e consentiva di trasformare lo smartphone nella versione digitale di una puntina da giradischi. Appoggiando il vinile su una sorta di giradischi in cartone e leggendo un QR Code con lo smartphone, il telefono cominciava a “leggere” la musica e a riprodurla. Naturalmente il device doveva mantenere la posizione per tutto il tempo della riproduzione, rendendo di fatto inutilizzabile il telefono per altri scopi.
Successivamente arrivò LOVE, applicazione diffusa nel 2017, che consentiva di riprodurre un vinile collegando il telefono a una sorta di lettore appoggiato sul disco e che trasmetteva allo smartphone i dati codificati nel solco impresso sul vinile.
In entrambi i casi la riproduzione del disco poteva essere controllata attraverso l’applicazione installata sullo smartphone, tramite i classici comandi play/pause/forward/backward.
Per quanto fossero App geniali, in grado di mettere costruttivamente in comunicazione il passato con il presente della riproduzione digitale, queste applicazioni non hanno avuto una diffusione massiccia nel mondo degli appassionati di musica.
Il perché è presto detto: la qualità della musica dipende in gran parte dalla qualità della trasmissione degli impulsi sonori agli altoparlanti e alle caratteristiche tecniche degli altoparlanti in questione. Il sistema di trasmissione bluetooth, a cui si affidano queste applicazioni impoverisce enormemente la quantità di dati che vengono trasmessi alle casse. Anche gli altoparlanti migliori, quindi, non restituirebbero un suono ricco, appagante e profondo come quello a cui aspirano gli audiofili e, più in generale, tutti coloro che sono cultori della musica su disco in vinile: non arriverà mai l’applicazione in grado di sostituire la qualità e l’emozione di un giradischi collegato a un impianto stereo ad altissime prestazioni: dicono i più esperti in certi momenti è come mettere piede nel Nirvana, avendo la sensazione di avere della musica una percezione tattile.
Nel frattempo, la scena delle applicazioni dedicate esclusivamente all’ascolto di musica digitale sta cambiando, esattamente come avevano previsto abbastanza di recente. Google ha cominciato il percorso per sopprimere Google Play Music, applicazione che attualmente propone le stesse funzioni YouTube Music, app molto più forte a livello di diffusione e soprattutto di brand identity.